Paola ha quasi quarat'anni, vuole iniziare a fare EFT per un problema di rabbia, sente di non riuscire a gestirla. Sa di portare con sè una grande ferita da quando era solo una bambina, ha subito molestie sessuali in famiglia.
Facciamo il nostro primo incontro iniziando a lavorare sull’emozione che ha in corso nel momento in cui ci vediamo, senza pensare direttamente all'evento specifico.
La prima emozione che arriva è la paura, su una scala da zero a dieci, la sente otto. Ha paura di scoprire qualcosa di troppo doloroso. Da subito fa fatica ad accettarsi, vorrebbe “correggersi”, perché sente che la sua rabbia non va bene, lei stessa non va bene, MAI, è sbagliata.
Bastano solo due giri di tapping sull’accettazione delle sue emozioni picchiettando su tutti i punti e Paola può accettare di buon grado la rabbia, si sente autorizzata a provarla, non c’è niente da correggere. Si sente meno “compressa”.
Facciamo subito un esercizio di Matrix Reimprinting per l’auto-accettazione (protocollo messo a punto da me, e approvato da Karl Dawson) e riusciamo ad ottenere molto più che un po’ di sollievo dalla compressione, infatti Paola è disposta a perdonarsi per essersi incolpata e trattata duramente per tanti anni. Prova leggerezza ed è più energica. Sente l’emozione di avere pazienza e cura di sé. Pensa di avere ancora un po’ di paura, ma in realtà scopre che la paura si è trasformata in curiosità per il futuro. La cosa negativa che ancora prova è una voce interiore che la critica, sempre, da quando apre gli occhi al mattino; al momento non la sente, ma sa di averla sempre avuta. Dopo Matrix, può accettare anche di avere questa voce e “sceglie” di aprirsi alla possibilità di fare conoscenza anche con altre voci, come “la voce della pazienza” e “la voce della cura” provate poco fa.
Continuiamo a lavorare con EFT sui residui di rabbia, impotenza nello stomaco e nella gola e sulla sensazione di avere le spalle strette: è qualcosa che la schiaccia giù. Paola identifica la sua rabbia con un tirannosauro che urla: è rimasto intrappolato nello stomaco e si è perso, ma vorrebbe uscire da li.
Lo liberiamo, lei si sente felice e fiduciosa e il suo tirannosauro le augura buona fortuna, perché nonostante sia stato chiuso li per tantissimo tempo, gli è bastato poco per tornare nel suo posto. Sente che può fare cose che fino a un’ora prima non erano nemmeno immaginabili.
Nei giorni seguenti, Paola, resta calma e quasi sempre serena, la voce della critica che si svegliava con lei al mattino, non la sente quasi più, ha il cervello libero, e non sente “la gelatina” nella testa, ha più forza per fare qualunque cosa e di fronte ad una situazione di mancanza di calma intorno a lei, in cui si sarebbe schierata con la rabbia si è astenuta ed è riuscita a non farsi coinvolgere. Si è accorta facendo EFT, che per anni non ha affrontato le cose, perché parlarne era per lei, solo un modo per metterle a tacere.
Grazie alle nuove emozioni che ha percepito da quel momento e per tutto la settimana seguente, nel nostro secondo incontro Paola ha preso decisamente molto più coraggio e ha pensato di “mordere” direttamente lì dove c’era l'evento disturbante.
Così iniziamo con una tecnica dolce che si usa con EFT, ma molto efficace: la tecnica del film.
La scena che ci si presenta, in realtà non riguarda l’abuso in sé, ma il momento in cui Paola lo racconta alla mamma da cui non si è sentita mai nè protetta nè compresa.
Quindi lavoriamo su questo evento traumatico. La condizione iniziale di questo trattamento è di stomaco chiuso e lacrime soffocate in gola al solo pensiero di farlo.
Cominciamo, a differenza del primo incontro, non c’è alcuna difficoltà ad accettarsi, nessuna recriminazione nei confronti della rabbia.
Il lavoro del film durerà circa un’ora e mezza, ma da subito c’è una risoluzione a livello inconscio, ancora prima di cominciare infatti, Paola mi dice : “ormai è andata”, pensavamo fosse un’emozione di rassegnazione, invece, picchiettando, si accorge che trauma o non trauma, è successo e ora ha la possibilità di fare qualcosa per risanare le ferite.
Questo solitamente avviene alla fine del lavoro, la persona prende distacco dall’evento traumatico e rilascia le emozioni esprimendosi con frasi tipo “E’ andata così” “E’ successo” “Mi sento liberata/o”, quindi questo ha decisamente facilitato il processo.
Iniziamo il lavoro vero e proprio sul film di Paola, le lacrime soffocate in gola non ci sono più, passiamo da emozioni di apatia “mi sento piallata” a emozioni di rabbia, di senso di colpa, di paura del giudizio degli altri , di voglia di piangere, di inquietudine.
L’inquietudine in particolare, le fa venire in mente, che non si è mai sentita capita e accettata, si è sempre sentita dire da quando era piccola “che era troppo seria, nervosa, scontrosa e che nessuno mai si era chiesto PERCHE’? Cosa c’era dietro a tutto questo? Nessuno si era mai accorto che c’era qualcosa contro natura.”
Finalmente può affermare senza senso di colpa, e dire a qualcuno che è sempre passata per quella che non è, per quella cattiva, per quella sbagliata, per quella che non fa, quando invece faceva più degli altri; infatti, l’abuso l’ha subito da un familiare con un ritardo cognitivo, di cui lei si occupava pur essendo solo una bambina.
Paola si accorge che aveva solo e soltanto bisogno di un abbraccio. E’ dopo questo sfogo che l’inquietudine se ne va.
Andiamo avanti a riguardare e rivisitare il piccolo immenso film, affrontiamo tutte le emozioni che si presentano, una alla volta fino a provare comprensione e grande compassione. Senza mai smettere di picchiettare, Paola, riesce a trasformare ogni emozione negativa, fino a poter guardare il film con distacco. “E’ una cosa del passato” mi dice. Si sente orgogliosa di come ha affrontato le cose, si sente compresa, non le importa più del giudizio degli altri, lei non è sbagliata e non ha nessuna colpa. Si sente sollevata. Ora sa che non ha mai capito male, lei capisce e aveva sempre capito bene. “Ho fatto quello che andava fatto, sono sopravvissuti tutti”. E’ scomparsa dalle sue immagini ogni traccia di violenza. Non può più proteggere gli altri, né farsi carico delle loro responsabilità, nemmeno di quelle della mamma. E’ forse la prima volta che non piange di rabbia, ma per emozione, ora sente liberazione.